venerdì 6 aprile 2012

La costruzione dell'identità attraverso i Social Network


Non sono mai stata particolarmente attratta dai Social Network.
Già dai tempi in cui in rete spopolava My Space non ho sentito l'esigenza di creare un profilo per "mettere in piazza" la mia vita. Si, usavo Internet per fare ricerche o visitare siti, prenotare voli o acquistare altri servizi, chattare con gli amici tramite MSN, inviare e ricevere e-mail. Ma dentro di me non è mai scattato il bisogno di diventare utente di questo genere di siti sociali.
All'epoca poi - si parla dei primi anni 2000 - i primi Social Network contavano pochi utenti sia nel mondo sia nella mia cerchia di amici, perciò non mi sentivo assolutamente un pesce fuor d'acqua.
Con il tempo la tendenza alla creazione dei Social Network è andata aumentando e, soprattutto con la nascita di Facebook, c'è stato in ogni parte del mondo un vero e proprio boom di iscrizioni.
Anche tra i miei amici è diventato difficile trovare qualcuno che non sia iscritto a Facebook, Twitter o LinkedIn. Inoltre mi è capitato di incontrare persone che non vedevo o sentivo da tempo e la prima cosa che mi sono sentita dire, ancor prima del classico - e sempre di buona educazione - "Come stai?" era "Ti ho cercata su Facebook. Non ci sei? Devi assolutamente iscriversti così ci teniamo in contatto."
A quel punto ho iniziato a diventare bersaglio di persuasione da parte di alcuni amici che non mancavano occasione per illustrarmi i molteplici benefici che l'iscrizione a questo Social Network avrebbe potuto portare alla mia vita (hai la possibilità di restare in contatto con i tuoi amici o fartene di nuovi; cercare e contattare persone in ogni angolo della Terra; essere sempre aggiornato su eventi o novità di ogni genere). Ma continuavo a non essere interessata e per difendere la mia posizione di totale disinteresse sono passata da pesce fuor d'acqua a bastian contrario.
Non riuscivo proprio a capire cosa spingesse così tante persone a mettere in mostra davanti a tutti ogni istante ed ogni pensiero della propria vita, a pubblicare le foto delle vacanze o di una serata in famiglia, a caricare video che ritraggono una serata goliardica con gli amici.
Ho provato spesso ad interrogarmi in proposito e l'unica motivazione - probabilmente banale - che riuscivo a darmi era che, nell'era della televisione e dei reality show, l'unica cosa che conta per le persone è l'apparire agli occhi degli altri come i più belli, i più simpatici, i più divertenti, i più attivi, i più informati, i più intelligenti - e chi più ne ha più ne metta.
Questa conclusione però, seppur plausibile, mi sembrava superficiale e limitante per il genere umano, oltre che non generalizzabile a tutti.
Intenzionata a capirne di più sulla questione ho pensato che ad aiutarmi a trovare rapidamente una risposta alla mia domanda sarebbe potuta essere solamente una sorta di osservazione partecipante: anche io avrei dovuto iscrivermi.
Ma diventare un'utente di Facebook avrebbe significato andare contro la mia natura, contro tutto ciò che a lungo avevo sostenuto, contro le convinzioni difese tanto strenuamente dagli attacchi dei miei amici. E non era un passo che mi sentivo disposta a compiere.
Nel frattempo, anche se non con la stessa portata di Facebook, un altro Social Network si andava facendo strada: Twitter.
Ne avevo sentito parlare soprattutto perché ai tempi erano molti quegli atristi o quei personaggi della politica, del giornalismo o dello spettacolo d'oltre oceano che utilizzavano i 140 caratteri dell'uccellino più famoso della rete per divulgare nella maniera più immediata possibili notizia sul mondo, su di loro o sulla propria vita professionale.
Oltretutto nel 2009 - anno cui risale la mia iscrizione - Twitter in Italia era ancora poco diffuso. Quasi nessuna delle persone che conosco vi era iscritta e questo mi avrebbe garantito la possibilità di restare fedele a me stessa e alle mie convinzioni.
Perciò ho deciso di lanciarmi in questa esperienza creando il mio profilo nella speranza che questa decisione avrebbe potuto essermi utile per il mio obiettivo.
Qualche tempo dopo mi sono imbattuta in un libro scritto da Anthony Giddens dal titolo Identità e società moderna che, nonostante non trattasse neanche lontanamente l'argomento internet/Social Network, ho trovato illuminante.
Quello che sostiene l'autore è che nella modernità le persone hanno bisogno di un modo totalmente nuovo, rispetto a quanto accadeva nelle sociatà tradizionali, per cosruire la propria identità. Hanno bisogno di una costante narrazione di sé per creare una continuità biografica tra tutti gli "io" che costituiscono le proprie esistenze.
Possibile che la risposta alla mia domanda sia che la necessità che si cela dietro alla tendenza degli individui di iscriversi ai Social Network è quella di un progetto di riflessività del sé?
Nel tentativo di dare una risposta al quesito procediamo per gradi.
Il presupposto da cui dobbiamo partire è che il mondo in cui viviamo oggi è un mondo globalizzato, caratterizzato da una forte complessità e che continua a cambiare con ritmi veloci. Un mondo in cui la condizione in cui vertono gli individui dei Paesi industrializzati è definita di frammentazione.
A diventare frammentata è l'identità dell'individuo, la quale deve fare i conti con la crescente complessità del sistema sociale, con il processo di pluralizzazione dei coinvolgimenti di ruolo e con il dilatarsi - per il soggetto stesso - delle possibilità di scelta.
L'identità non è più, come accadeva un tempo, qualcosa di dato una volta per sempre. Bensì essa ha bisogno di essere continuamente creata e mantenuta attraverso l'attività riflessiva dell'individuo.
Mentre l'individuo premoderno ritrovava sé stesso dentro un orizzonte di senso condiviso con la comunità di appartenenza, poteva vivere una vita già decisa per lui e percepirla come una buona vita, aderiva completamente ai ruoli sociali che impersonava e riusciva a dare un senso alla propria esistenza, l'individuo moderno vive in una società in cui la tradizione è infranta per sempre e deve decidere da sé chi è e che cosa vuole essere.
La conseguenza di ciò è che l'individuo moderno è molto meno certo di sé di quanto lo fosse l'individuo pre-moderno. Ha la possibilità di essere più individuo, più autonomo, più unico e più sé stesso di quanto fosse consentito agli uomini del passato; partecipa a più ruoli ed è inserito in cerchie sociali sempre più numerose ed ampie. Questo comporta che egli debba autodefinirsi a partire da una gamma maggiore di autorappresentazioni e porsi problemi di scelta nuovi.
In altre parole, mentre nelle società tradizionali la narrazione di sé era quasi automatica, dal momento che le esperienze mediate erano limitate e la vita quotidiana era regolata dalle situazioni, dagli oggetti e dalle persone presenti nella comunità, per dare un senso alla propria identità l'individuo contemporaneo deve costantemente porsi degli interrogativi su cosa sta facendo, perché lo sta facendo, cosa vuole dalla sua vita, cosa sente e a cosa sta pensando.
In questo scenario la riflessività è l'attività che lo aiuta nel processo di costruzione di una continuità biografica. Come afferma Giddens, quello in cui consiste il progetto riflessivo del sé è rendere coerenti le proprie vicende biografiche anche quando queste siano sottoposte a continue rivisitazioni.
Cosa c'entra tutto questo con i Social Network? Come possono aiutarci nel processo di autoriflessività del sé?
Se accedo a Twitter e clicco in pulsante Profilo posto sulla barra degli strumenti posizionata in alto sulla Homepage, quello che immediatamente appare sullo schermo del mio computer è l'elenco di tutti i tweet da me fatti dal momento in cui mi sono iscritta e disposti in ordine cronologico dal più recente al più remoto.
Rileggendo quello che ho scritto il quadro che appare ai miei occhi è quello di una sorta di diario in formato web 2.0 della mia vita. Cosa ho fatto il 26 agosto, a cosa stavo pensando il 14 ottobre, che canzone mi andava di ascoltare il 10 febbraio.
Ogni volta che mi va, anche a distanza di tempo, ho la possibilità di ripercorrere attraverso la lettura dei miei tweet quella che è stata la mia vita, di vedere come sono cambiati i miei gusti, i miei interessi, le mie opinioni. Ricordarmi cosa ho fatto e dove ero in determinati giorni mentre "aggiornavo" il mio profilo.
Perciò quella che avviene mediante i Social Network è una continua narrazione di sé, un continuo raccontarsi non solo agli altri ma anche a noi stessi. Un po' come avveniva con il vecchio diario, questo tipo di siti Internet offre a ciascuno di noi la possibilità di guardarsi indietro, di vedere da dove si veniva, dove si è stati e progettare o provare ad immaginare dove si andrà.
Se si prende per valido ciò che sostiene Giddens si potrebbe spiegare come mai sempre più persone nel mondo sentono la necessità di iscriversi ai Social Network e parteciparvi in maniera attiva e costante nel tempo.
Quello che però ci terrei a sottolineare è che, a mio avviso, quella che si vive in Internet e sui Social Network non è la nostra vera vita ma solo una rappresentazione di essa. La vità è altro. Abbiamo bisogno di vedere le cose con i nostri occhi, di toccare con mano ciò che ci circonda, di respirare gli odori e i profumi dell'aria intorno a noi, di assaporare la vita sotto ogni aspetto, di ascoltare e rispondere ad ogni stimolo che proviene dall'ambiente. Dobbiamo provare sentimenti e sensazioni per essere vivi. Siamo fatti di corpo e memoria e questa è una cosa che non dobbiamo mai dimenticare e da cui non possiamo prescindere.
Il profilo che abbiamo sui Social Network non è "noi" ma solo un modo moderno per raccontarci.